Federico Borgna, otto anni da presidente della Provincia

Intervista a tutto campo al termine del mandato come presidente della Provincia (2014-2022)

Federico Borgna, eletto presidente della Provincia nel 2014 (foto Vallauri – Uff. Stampa Provincia)

Cuneo – Con le elezioni amministrative di metà giugno Federico Borgna, già sindaco di Cuneo, lascia anche l’incarico di presidente della Provincia che ricopriva da otto anni.

Presidente Borgna, lei è arrivato in Provincia con l’elezione del 12 ottobre 2014 per prendere le redini di un ente in piena burrasca. Aveva 40 anni ed era sindaco di Cuneo. Era stato eletto dagli amministratori comunali della Granda, ma nessuno sapeva che cosa sarebbe successo della Provincia. Che ricordo ha di quel momento e che cosa è cambiato da allora? 

Ricordo molto bene quella domenica sera dopo il voto, quando sono arrivato al Centro Incontri della Provincia ed ho incontrato alcune persone che non conoscevo e che poi, in realtà, mi hanno accompagnato in gran parte e in modo molto stretto per tutti gli anni successivi. Era una sensazione complicata perché si trattava di accettare una missione ad alto rischio anche per me, ma ricordo anche lo spirito di servizio e la voglia di riuscire, insieme ai consiglieri provinciali, a tirare fuori l’ente da quella situazione difficile in cui si era venuto a trovare. Il rischio che tutto saltasse c’era ed era reale.

Che bilancio può trarre da questi otto anni? 

E’ un bilancio estremamente positivo. Siamo partiti su una nave che era a serio rischio di affondare e adesso abbiamo un’istituzione che ha riconquistato una centralità per la Granda, che è tornata ad essere un riferimento per i 247 Comuni, che ha avviato e già cantierato progettualità importanti come nuove scuole che da decenni non si vedevano sul nostro territorio, che sta rinnovando il personale e sta tornando ad assumere giovani, che ha un gruppo dirigente profondamente rinnovato con una prospettiva di durare nel tempo e di dare stabilità. A livello nazionale, poi, si è compreso che le Province sono un soggetto necessario. Penso che – con il lavoro che abbiamo fatto per il piano strategico e il Pnrr, con il cercare di tenere sempre i conti in ordine, con il batterci sui tavoli romani dove era necessario farlo, restando sempre sabaudi nella gestione – alla fine abbiamo dato il nostro contributo, con tante altre Province, nel far capire che siamo un mattone indispensabile nella costruzione del Paese.

 Quindi le Province possono essere modificate, ma non cancellate… E’ così? 

Le Province non è che possono essere modificate, devono essere modificate. La retorica cresciuta intorno alla riforma Delrio è ideologica perché non analizza storicamente i fatti. Chi ha messo in grave difficoltà le Province non è stata la Delrio, ma la legge finanziaria successiva. Se la Delrio ha un elemento di debolezza (ed è l’errore principale che è stato fatto) è che questa legge avrebbe avuto significato che fosse venuta dopo la modifica della Costituzione e non prima, come invece è successo. Quindi adesso si tratta di rimettere mano ad una legge concepita per fare un riordino più profondo, istituzionale, ma che è stata fermata nel suo percorso dalla volontà popolare. La Delrio deve essere modificata, ma la riforma contiene aspetti positivi che vanno salvaguardati, come l’Assemblea dei sindaci che credo sia un organo estremamente positivo perché ci costringe a dialogare, cosa che prima non avveniva.

La politica come servizio ai cittadini: per lei cosa significa?

Secondo me la politica dovrebbe essere un dovere per tutti, poi ognuno decide come svolgerlo, ma interessarsene è un compito di tutti i cittadini perché altrimenti non abbiamo diritto di lamentarci delle cose che non vanno. Per me la politica come servizio è lavorare per cercare di cambiare le cose che non funzionano e migliorare la qualità della vita delle persone. L’ho sempre intesa cosi, da rappresentante degli studenti a scuola, dai vertici dell’Unione Ciechi, da assessore a Bernezzo e poi ho continuato.

Tra le due esperienze (Comune e Provincia) quale le mancherà di più?

Mi mancheranno tutte e due. Fare il sindaco è un’esperienza totalizzante e sono contento che ci sia la regola dei due mandati così da non potermi ricandidare. La Provincia è molto interessante e stimolante: se ci fosse stata la possibilità di rimanere in Provincia ci sarei rimasto molto volentieri

Ha un ricordo particolare o un aneddoto di questi otto anni?

Ce ne sono tanti, è difficile sceglierne uno. Innanzitutto fare il presidente della Provincia mi ha permesso di conoscere la provincia come territorio. Mi rendo conto adesso che otto anni fa non la conoscevo e secondo me il 90% dei cuneesi non conosce tutta la Granda. Ho girato molto e penso di aver toccato tutti i 247 Comuni. Sembra retorico dirlo, ma quella di Cuneo è una provincia di straordinaria bellezza: dal Monviso alla pianura, dalle colline di Langhe e Roero alle zone di mezza montagna, dalle valli alpine all’alta Langa. E’ una terra bellissima, abitata da persone perbene perché gli abitanti della provincia di Cuneo sono persone perbene che puntano più alla sostanza che all’apparenza, gente che parla poco ma che quando parla dice delle cose. Siamo molto diversi; io sono cresciuto nell’area cuneese, ma ho imparato a conoscere le diverse culture dell’area monregalese, langarola, roerina e di pianura. Ci sono sfumature che accompagnano non solo il cambio di dialetto, ma proprio il modo di essere delle persone e di pensare. Poi mi sono reso conto di quanto la Provincia come ente sia presente nell’immaginario collettivo, quanto sia un riferimento per le persone e le istituzioni.

Quindi smentirebbe la domanda che a volte ricorre: “… ma c’è ancora la Provincia?”  

Ma certo! Questa è una domanda da disorientamento, che arriva da una passata campagna di delegittimazione delle Province. Anche culturalmente, se si chiede ad una persona “di dove sei’”, la prima risposta è sempre “sono della provincia di …”. Mi ha fatto piacere anche scoprire come, a livello nazionale, la Provincia di Cuneo sia percepita come un esempio di buona amministrazione ed abbia il suo peso anche all’Upi nazionale. Certo, non è merito solo nostro ma dei governi provinciali che negli anni si sono susseguiti.

Che cosa vuole dire ai dipendenti della Provincia che hanno lavorato con lei? Lei ha detto che quando si arriva come amministratori per la prima volta in Provincia si può avere qualche preconcetto sull’ente, ma man mano che si conosce la macchina, si cambia atteggiamento. Come è stato per lei e che cosa ha trovato davvero in Provincia?

Il mio primo contatto con i dipendenti della Provincia è avvenuto in un modo particolare, nell’ambito di una manifestazione di “orgoglio provinciale” in quegli anni difficili. Per fare una sfilata del genere in pubblico, con una campagna diffamatoria contro le Province e in un più in un martedì di mercato, ci voleva un certo coraggio. Io ero davanti e stava per partire il corteo quando il mio vice presidente Mario Riu mi ha fatto notare lo slogan che i dipendenti stavano ritmando per me: “Un presidente, c’è solo un presidente”. I primi mesi sono stati quelli del disorientamento e anche quelli in cui alcuni dipendenti se ne sono andati verso altri enti. Erano persone avvilite di come un’istituzione a cui erano attaccate veniva disegnata all’esterno. Questo è stato il periodo in assoluto più complesso, ma ciò che ho trovato motivante per me è stato vedere l’attaccamento alla “maglia” perché c’era e c’è davvero spirito di appartenenza, oltre alla consapevolezza di fare un lavoro magari poco conosciuto (percorsi autorizzativi, verifiche ambientali, manutenzione ordinaria di strade o scuole…) che non si vede e non fa notizia, ma che è essenziale. Ringrazio tutti i dipendenti per quello che hanno fatto in questi anni, a maggior ragione per quel lavoro nascosto che serve alla vita quotidiana delle persone Se l’esperienza in Provincia mi è piaciuta così tanto è perché ho lavorato con persone che mi hanno trasmesso l’amore per l’istituzione. Un  grazie anche a tutti i consiglieri provinciali che si sono succeduti e, in particolare, ai miei tre vice presidenti con cui ho lavorato: il compianto Mario Riu, Flavio Manavella e ora Massimo Antoniotti.

Un messaggio ai sindaci?

Grazie per il sostegno e per il lavoro che fanno perché so cosa vuol dire amministrare un Comune, così come so benissimo che più il Comune è piccolo, più è pesante il fardello sulle spalle del sindaco. Come ho già detto in altre occasioni, il grande valore della nostra provincia è l’unità: se i 247 Comuni lavorano insieme e uniti come hanno fatto in questi anni non abbiamo da temere niente e nessuno perché siamo una realtà straordinaria.

Senza Comune e senza Provincia, cosa farà da metà giugno in avanti?

“Farò le vacanze perché sono dieci anni che non le faccio e poi mi piacerebbe dedicare un periodo allo studio per vedere un po’ cos’è successo nel mondo in questi dieci anni in cui io ero totalmente concentrato su Cuneo e sulla provincia di Cuneo. E poi tornerò a lavorare.

E quindi chiuderà con la politica ?

Ci sono persone che passano la vita a cercare di raggiungere obiettivi personali e occupare un posto piuttosto che l’altro. Io non l’ho mai fatto e non inizierò a farlo a 48 anni. Ovviamente la politica per me è e rimarrà sempre la passione. Se potrò ancora essere utile alla mia comunità lo farò volentieri e se non ci sarà più l’opportunità andrà bene così. Dalla vita e dalla politica ho avuto molto più di quanto potessi immaginare, sono contento.

Intervista a cura di Carla Vallauri – Uff. Stampa Provincia

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